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Il Figlio dell’Uomo
In realtà vi sono cose che neppure Dio capisce, anche se le ha create.
José Saramago
Nel segno della croce
Quando, all’inizio del nuovo anno, abbiamo immaginato di esporre nel periodo di Pasqua una raccolta di opere sul tema della Crocifissione, l’orizzonte sembrava limpido, nella speranza fondata di una pandemia mitigata. Celebrare l’idea di una resurrezione, seppure dal punto di vista di non credenti, ci è sembrato così un ottimo auspicio.
Il progetto ha preso il via con alcuni studi sulle mani, sui piedi e sul torso di quel corpo divino, seppure martoriato, alla ricerca di quel senso ampio di possibilità nonostante tutto che ogni tipo di fede, nell’uomo come nel divino, ci regala attraverso l’arte e la sua natura simbolica e trascendente.
Sono bastate poche settimane e siamo precipitati nella condizione ben più concreta di esseri viventi in carne e ossa, dominati da uno statuto materiale che necessita innanzitutto di calore e cibo, silenzio e acqua, vicinanza e possibilità di movimento.
Tutto è saltato in aria con il primo colpo di questa guerra terribile e insensata che inchioda ognuno al proprio posto nell’equilibrio impossibile del non reagire reagendo, muoversi non muovendosi, cercare la pace, ma combattendo.
Per alcuni giorni abbiamo quasi desistito dal progetto, immersi nel senso di impotenza diffusa che si allargava tanto più si ampliava il conflitto. Perché l’arte – lo sa bene chi la pratica e chi la ama – è davvero incarnata nello spirito di chi la esercita e se ne nutre, e necessita anch’essa, per potersi esprimere, di un luogo protetto e appartato, luogo che Marina Cvetaeva chiamava Paese dell’anima.
Poi, giorno dopo giorno, tanto più la resistenza ucraina si imponeva come forma esemplare di esistenza, si è fatto largo un nuovo pensiero, un sentimento mosso anzitutto da un atto di volontà ben precisa e determinata.
Era l’intenzione di una non-resa, anche da parte nostra, ai sentimenti più che legittimi di tristezza e non senso che viviamo tuttora, l’intenzione di una resistenza agita nel quotidiano, che sfociava nell’esercizio del pensiero – e del disegno – scelti come luogo di azione e di preghiera laica insieme.
Alla ricerca di quel Figlio dell’uomo capace di resistere (forse risorgere) sempre, comunque e nonostante tutto, alla ricerca delle fattezze carnali e simboliche insieme di quel Corpo che – non a caso – è oggetto di attenzione e dedizione in tutta la Storia dell’Arte.
Di volta in volta alla ricerca di un Cristo, di un Ladrone o di uno sconosciuto accasciato in qualche vicolo, le mani e lo sguardo hanno inseguito e disegnato, nel segno e nel senso di tante e diverse crocifissioni, quello spazio interiore e figurato insieme che solo il corpo di un uomo “offerto in sacrificio per noi” è capace di comporre e condividere.
Come se noi stessi – come specie e come singoli – valessimo ancora la pena di un tale gesto estremo. E forse così è, a tratti.
Non tanto per noi stessi, ma per le nostre opere, siano esse di difesa strenua della vita o di impegno, studio e concentrazione alla ricerca di un senso altro, tangibile e condiviso.
Perché l’arte, anche quando non trascende, sempre ci trasforma e trasfigura, ci porta lontano e in profondità insieme, ci consola senza mentire e ci sprona senza vincolarci a sé.
Concludiamo con un brano di José Saramago da Il Vangelo secondo Gesù Cristo che dedichiamo a tutti noi.
Nat e Gerri
Signore, che è quest’uomo che tu ne fai tanto conto, che è questo figlio dell’uomo a cui rivolgi la tua attenzione, l’uomo è come un soffio, i suoi giorni passano come l’ombra, qual è l’uomo che vive e non vede la morte, o risparmia la sua anima sfuggendo alla sepoltura, l’uomo, nato di donna, breve di giorni e sazio di inquietudine, come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l’ombra e mai si ferma, che è quest’uomo per cui ti ricordi di lui, e questo figlio dell’uomo perché tu lo visiti.
José Saramago