Ritratti di uomini non illustri


Per capire bene l’arte di Salvatore Daddi bisogna partire da lontano, precisamente dall’Umanesimo. Il ritratto moderno, infatti, lo ha inventato Leonardo da Vinci, il quale ha introdotto l’introspezione psicologica nella riproduzione artistica di un volto.

Dice infatti il genio fiorentino:

“Farai le figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell’animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile”.

E’ lui che parla per primo dei moti dell’animo, come di qualcosa che emerge dalle espressioni del volto e lo rendono vivo e vero.

La fisiognomica era una disciplina antica, ma Leonardo è il primo che la interpreta in chiave psicologica. E il fatto che il cammino della pittura sia strettamente intersecato con la psicologia, rende la pittura occidentale molto diversa da altre forme di rappresentazione artistica di altre parti del mondo.

Dopo Leonardo molti sono stati gli studiosi di fisiognomica, come Giovan Battista della Porta, Charles Le Brun, Lavater, e tutti gli artisti che hanno praticato l’arte del ritratto si sono cimentati in questa difficile sfida, cioè di cogliere la personalità profonda, l’interiorità dei personaggi ritratti.

Un ulteriore passo avanti in questo tipo di studi e di relazioni lo ha realizzato nel 1872 Charles Darwin che pubblicò “L’espressione dei sentimenti nell’uomo e negli animali”, testo che fa confluire la fisiognomica nell’antropologia.

Un posto a parte, ma comunque rilevante, occupano gli studi di Cesare Lombroso che lega la fisiognomica alla psichiatria e alla criminologia, trovando un allarmante nesso tra l’artista, il pazzo e il criminale…

Tutta questa premessa, necessariamente frettolosa, per dire che la ritrattistica di Salvatore Daddi è l’erede di una lunga e prestigiosa tradizione che fa del ritratto un’occasione per l’analisi psicologica dell’umanità.

I suoi personaggi però, a differenza di molti artisti del passato, non sono prestigiosi, illustri o celebri, ma sono gente di strada, volti anonimi e ordinari come i tanti che incrociamo tutti i giorni nei quartieri delle nostre città.

Daddi infatti predilige soggetti a loro modo marginali quali i giovani rapper in canottiera e felpa, magari con il cappuccio tirato sulla testa, come fanno molti giovani ombrosi e inquieti, novelli monaci di una religione laica del disprezzo e della sfida.

Questi volti sono il frutto del melting pot etnico e culturale che si è verificato nelle nostre periferie negli ultimi anni: volti slavi, africani, maghrebini, dagli sguardi corrucciati e impertinenti, di chi ha poco da perdere e molto da pretendere.

Daddi ritrae spesso giovani pervasi da una sottile e malinconica indolenza, in posture di sfida o violenza sopita, trattenuta. In alcune immagini l’artista aggiunge a questi volti porzioni di corpo, un corpo anche questo espressione di una mentalità, perché prossemica e fisiognomica appartengono alla stessa area di studio.

Lo sguardo di Daddi è uno sguardo indagatore, ma mai giudicante, anzi l’artista esprime una certa simpatia per questi tipi un po’ sbruffoni e ribelli.

La nuova fisiognomica daddiana è tutta un compendio di rasati, palestrati, barbuti, hipster o trap espressione della nuova estetica metropolitana, con sigarette pendule da bocche tumide e sprezzanti e sguardi languidi e provocatori.

Eppure lo stile di Daddi, pur modernissimo, è classico: le sue figure hanno l’armonica bellezza delle statue greche, l’ordine della composizione risente di una formazione quasi accademica, la precisione dell’anatomia dei corpi rivela un occhio scientifico, degno, appunto, di Leonardo.

Matite, pastelli, acquerelli, olii, Daddi padroneggia tutte le tecniche con formidabile abilità riuscendo a coniugare la sintesi del segno con l’analisi dell’osservazione.

Anche la scelta di materiali poveri, la carta paglia, il cartone, come supporto ai disegni è funzionale a riportare l’arte alla sua dimensione quotidiana, al reale scorrere dei giorni, fatto di incontri casuali e anonimi.

Daddi prende queste persone dalla loro quotidianità e le rende protagoniste di una moderna epopea, quella dell’uomo qualunque, dell’uomo-massa, che si “immortala” sui profili dei social, illudendosi di lasciare una traccia di sé. Ma questo fiume di effimere immagini virtuali è destinato a passare velocemente, a scorrere fino al gorgo dell’oblio…

Il lavoro metodico e ossessivo di Daddi invece resta, preziosa testimonianza dei tempi che stiamo vivendo e di questa umanità inquieta e sospesa, in attesa di un futuro che si annuncia incerto.

Gerri Lunatici

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